Risino alla crema di latte

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Questa non è una ricetta, è più che altro uno stato d’animo. Direi…una rimembranza. In questi giorni mi sono beccata un virus beffardo che mal si coniuga con sperimentazioni culinarie, profumi, assaggi e sapori. Però per non lasciare troppo silenziosa questa pagina, il mio cuore ha trovato un senso nonostante il malessere. Ha percorso un sentiero bianco. Che sa di latte. Un sentiero puro. Candido. Un tappeto di neve e di orchidee, di fate d’inverno e fiocchi gentili. Quel sentiero mi porta al mio essere bambina. Quando da bambina mi ammalavo, la mia mamma si faceva una cuccia accanto al mio letto. Con una sedia o con una poltrona si costruiva il suo nido di sorveglianza accanto al mio letto. Mentre io tremavo dal freddo e farfurgliavo frasi sconnesse e come un uccellino mendicavo gocce d’acqua dal bicchiere o cucchiaini di camomilla e briciole di pane, lei cuciva, rammendava, faceva la lista della spesa, attaccava bottoni, preparava lezioni di pedagogia…così, semplicemente al mio fianco. Come fa una mamma. Quando tornava da lavorare arrivava sempre con qualche bottino assai gradito dall’edicola. Carta per far brillare quei tempi morti. Giornaletti, cruciverba e figurine. E i miei occhi, già luccicanti per la febbre, brillavano come diamanti. Era quasi bello ammalarsi. Era bello averla lì, tutta per me. Lei che ferma non poteva stare mai. Lei che correva come una trottola per sfamare e soddisfare ogni cinguettio. La febbre era un regalo sì, era un tempo dilatato dalla luce calda della sua presenza buona. Ogni tanto si addormentava, stanca com’era. Che tenerezza! Spesso rimaneva lì anche la notte, accartocciata su una sedia pur di coccolare le mie paure. Ho un’immagine negli occhi: una stradina bianca. Scendono larghi fiocchi, merletti perfetti dal cielo. Tutto è ovattato. Un silenzio dolce e perfetto. Alla fine della strada c’è lei col suo scialle di lana a righe azzurre e blu. E quelle righe sono altri sentieri di azzurra felicità. Poi c’è la sua domanda: “amore, vuoi che la mamma ti faccia il risino del malato?” Lo chiamava così: il risino del malato. Un piatto di riso brodoso che cucinava quando qualcuno stava male. Io l’ho ribattezzato: il risino alla crema di latte. Quel piatto di riso bollente, così fatto, era una manna del cielo, era balsamo e consolazione. E lo è anche ora al sol pensiero. Oggi, per ritrovarla, me lo sono cucinata. Ho spostato i chicchi nel piatto e ho trovato il sentiero che mi porta di nuovo alla “felicità bambina”. Questo riso deve rimanere lento, tra il brodoso e il cremoso. Deve coccolare, saziare…senza aggredire.

Per 1 persona

80/100 grammi di riso

brodo vegetale

latte

burro

parmigiano reggiano grattugiato

Cuocete il riso nel brodo vegetale. Se non avete tempo ed energia per farlo…usate un dado biologico senza glutammato. A metà cottura aggiungete mezzo bicchiere di latte. Quando il riso è cotto e la consistenza è “pannosa”, spegnete il fuoco e mantecate con un pochino di burro e parmigiano.

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